In natura, l’essere sottoposti a situazioni che stimolano contemporaneamente comportamenti e risposte contraddittorie (andare verso qualcosa o ritirarsi, o in una direzione e in quella opposta, per esempio) genera risposte di blocco.
In attesa di avere elementi dirimenti e di poter elaborare la risposta più corretta ai fini della sopravvivenza, infatti, il cervello (emotivo) preferisce bloccare il movimento e l’iniziativa e andare momentaneamente in stato di freezing. Questa condizione, dove entrano in gioco meccanismi atavici di risposta (gestiti in particolare, come suggerito dalla teoria polivagale, dal sistema parasimpatico arcaico, che regola alcuni fenomeni riguardanti gli aspetti viscerali e motori) influenza non solo la gestione emotiva, ma anche la capacità di pensare in modo critico, razionale e autorevole.
L’auto-protezione istintiva sequestra la funzione cognitiva
Quando è in corso un’azione auto-protettiva, di cui la reazione di immobilità (freezing) è la massima espressione, contemporaneamente vengono disattivate le aree del cervello più evolute e deputate a richiamare, analizzare e valutare non solo la situazione contingente e quelle analoghe del passato, ma le differenze con situazioni pregresse, il contesto, la prospettiva allargata, le conseguenze dell’agire e così via. Questa disattivazione ha lo scopo di tagliare fuori l’interferenza della massa di informazioni cognitive potenzialmente a disposizione: se è partita la risposta di immobilità, significa che il cervello arcaico sta mettendo in atto il programma immediato di sopravvivenza. Non c’è tempo di pensare o disquisire, bisogna agire di istinto. E se l’istinto dice: bloccati, non so cosa fare!, ci si blocca. E al diavolo tutto quello che sapevi e su cui ti basavi fino a un momento fa. Sei in una sorta di limbo, sei in dissonanza cognitiva.
Pensare sotto freezing
Si può comunque cercare di riaccedere alle funzioni cognitive superiori, di pensare pur con una parte del cervello e del corpo bloccate dalla reazione emotiva di immobilità, ma richiede un certo sforzo. In alcuni casi, si può arrivare alla dissociazione, anche solo momentanea, cioè allo sfasamento delle funzioni cognitive rispetto alla percezione del corpo. Si tratta di uno sdoppiamento della percezione: da un lato, il piano del pensiero, che può sembrare ragionare anche in modo ‘normale’ o meglio del solito, in realtà alla disperata ricerca di una via di fuga; dall’altro il corpo, ancora bloccato dalla confusione o dal terrore. Questo meccanismo di super-emergenza non è però di certo una soluzione ottimale e non è utile mantenerlo a lungo o peggio farne un’abitudine, in quanto ha un costo biologico e psicologico notevole.
‘Pensare’ condizionati dalle emozioni
In ogni caso, se pensare durante un momento di freezing è difficile, lo è ancor più quando la fase di confusione degli stimoli e il blocco sono seguiti dall’intervento di altre reazioni emotive. Spesso le emozioni ‘di movimento’ (paura, rabbia e gioia) e di resa (tristezza) seguono immediatamente quella iniziale di immobilità e ne rappresentano la naturale contintuità, il naturale prosieguo di azioni almeno biologicamente sensate. Anch’esse coinvolgono il corpo, modificando il suo funzionamento, e influenzano quella che altrove abbiamo definito ‘mente condizionata’: la capacità di associare stimoli e informazioni e di compiere valutazioni e giudizi, ma sotto l’egida delle risposte emozionali, non del pensiero obiettivo e critico. Le risposte cognitive della mente condizionata, cioè, sostengono la visione e versione del cervello emotivo e attuano comportamenti, anche complessi, volti ad applicare e confermare il programma biologico di sopravvivenza. Questo non contempla certo trovare soluzioni creative, cooperare, magari ridefinire strategie e obiettivi utilizzando uno sguardo sereno e di largo respiro, ma è volto a soddisfare alcuni specifici bisogni: sicurezza e comfort; sollievo e libertà; piacere e gratificazione immediata; consenso e apprezzamento. La mente condizionata opera perlopiù a livello subconscio, dunque sotto il livello della comune consapevolezza; bisogna proprio cercarne gli indizi nei nostri comportamenti reattivi, in quello che ci disturba, che troviamo inaccettabile o che diamo ormai per scontato e per acquisito senza doverlo (di nuovo) discutere. Operazione difficile e delicata, perché è una funzione assai adattata, normativa ed interessata al comfort e allo status quo, qualunque esso sia, anziché al cambiamento. Quando è attiva, ogni nostra reazione, pensiero, comportamento o risposta emotiva ci sembra del tutto normale, perché è ciò a cui ci siamo adattati, nel bene o nel male. È quindi assai scomodo osservarla e anche accettare di esserne portatori.
La mente congelata va al risparmio
Dopo essere stati sottoposti a più eventi spiazzanti ed a più versioni contraddittorie relative a qualcosa che ci interessa, e massimamente se potrebbero mettere a repentaglio la nostra sicurezza o il nostro futuro, almeno in quell’ambito siamo facilmente proni ad uno stato subconscio di ‘congelamento’ del pensiero critico e creativo: per intenderci, quello che è appannaggio della mente non condizionata dalla componente emozionale. Si tratta delle funzioni cognitive e psicologiche più elevate, che non puntano semplicemente ad ottenere la rapida soddisfazione di uno dei bisogni emozionali, ma hanno come focus la visione obiettiva e a lungo termine, il benessere non solo individuale e contingente ma del gruppo o dell’intero ambiente, la soluzione anche inedita e creativa ai problemi, l’altruismo e sentimenti di reale solidarietà, empatia e connessione con gli altri in assenza di pretese egoiche e infantili che il mondo e i nostri simili siano come piacciono a noi per sentirci, appunto, al sicuro, sollevati, gratificati e apprezzati.
Quando la mente è stata sottoposta a uno o più momenti di freezing, il suo funzionamento va al risparmio, regredisce, per così dire, allo stato biologico, verso le istanze di sopravvivenza: procurarsi sicurezza, piacere e consenso subito, non importa come e cosa succederà nel medio o lungo termine. La ricerca del sollievo dal dolore e dalla paura (reali o procurati, poco importa) porta a un rapido adattamento: siamo più pronti e proni a non mettere in dubbio o in discussione ciò che crediamo ce lo darà; saremo adattati a una realtà anche più povera di domande, di stimoli e di sfide ma apparentemente (e forse illusoriamente) in equilibrio, e saremo pronti a difenderci da chi o che cosa oserà mettere in dubbio ciò che vorremo tenerci stretto perché sarà stato percepito come necessario o utile alla sopravvivenza.
Uscire dalla dissonanza cognitiva
Come uscire da questa situazione quasi post-traumatica di ‘pensiero freezato’, dettata dalla dissonanza cognitiva? Chi conosce le possibilità del rilascio emozionale ha già la sua risposta, e chi conosce il FastReset sa che la cosa più utile sarebbe di iniziare a lavorare sul primo della serie dei momenti o degli eventi vissuti come spiazzanti, inaspettati, incomprensibili, ingestibili e via dicendo. Il primo evento in grado di provocare la reazione di freezing, infatti, genera una sorta di modello che verrà confermato e stabilizzato dalle esperienze posteriori di sapore analogo. Se lavoriamo sull’’imprinting’, sciogliendo le associazioni compiute, liberiamo il sistema dal condizionamento acquisito e influenziamo anche le riattivazioni dovute agli eventi successivi. Spesso e volentieri, infatti, lavorando sul solo imprinting la situazione emotiva cambia radicalmente. Naturalmente, se ci fossero eventi scioccanti precedenti di significato simile, sarà opportuno indagarli e trattare anch’essi.
In pratica
Quindi, per esempio, se ricordate il primo momento in cui avete avuto una reazione di sorpresa, spiazzamento, spaesamento relativamente a una situazione che vi ha prodotto una dissonanza cognitiva, potete utilizzare inizialmente la frase-tipo sul freezing (dopo avere messo il focus sulle reazioni fisiche associate all’evento, naturalmente). Facciamo un esempio: “Lo sconcerto per l’evento x mi vuole proteggere dalla minaccia, dal trauma, dal pericolo e da una situazione inaspettata, spaventosa, ingestibile, incomprensibile e inaccettabile” (naturalmente, le parole scelte devono corrispondere al vissuto personale). Si effettua poi uno shift dell’attenzione per alcuni secondi. Ad ogni ripetizione della sequenza è opportuno cercare gli eventuali altri aspetti di freezing collegati o conseguenti all’evento o sensazione principale, chiedendosi se vi è ancora qualche aspetto inaccettabile, sconcertante o di cui non ci si capacita. Solo in seguito è opportuno lavorare sulle eventuali altre emozioni attinenti; se abbiamo lavorato bene e ‘ripulito’ dalle generalizzazioni, potrebbero rimanere per esempio anche solo le emozioni di resa da trattare, e non necessariamente. Per finire, si cercano eventuali associazioni, oggetti e sensazioni ‘trigger’.
Giorni fa, parlando con una persona che si è sempre ritenuta molto razionale, mi sono resa conto fino a che punto una dissonanza cognitiva – in questo caso, riguardante la gestione della salute dell’individuo e della società – possa bloccare la capacità di ‘pensare’ davvero con la propria testa. Benché disponga di strumenti culturali e intellettuali superiori alla media, ha evitato di verificare le informazioni ricevute (inizialmente confuse e contraddittorie) e di formarsi una sua idea personale su cosa fare per proteggere la sua salute, preferendo accodarsi a un’opinione che ha sentito confortante e ‘vera’ in quanto seguita da molte persone ‘come lei’. Pur avendone i mezzi, cioè, ha accuratamente evitato di mettere in dubbio ciò che le è parso sufficiente per sentirsi al sicuro e libera dal problema, rinunciando a farsi ulteriori domande, per timore di sentire di nuovo la sgradevolezza del non sapere come districarsi e uscire dall’impasse cognitivo.