Ho tratteggiato altrove[1] alcune delle caratteristiche dell’inversione fisiologica e psicologica che si riscontra tanto spesso durante il trattamento con la tecnica di rilascio emotivo rapido FastReset®, in particolare quando si va a lavorare su temi fondanti per la persona.

Introduzione

L’assunto di partenza è che una persistente e abituale sensazione fisico-psichica, che diventa ben presto subconscia, quindi considerata “normale”, viene interpretata dal sistema emotivo come corretta dal punto di vista della sopravvivenza, semplicemente in quanto si è rivelata compatibile con essa.

Che il risultato sia gradevole o sgradevole, potenziante o limitante, perciò, se mi sento abitualmente in un certo modo, e sono ancora viva, per il cervello emotivo questa sensazione o condizione potrebbe proprio per questo esserne considerata una concausa favorevole. Non solo: poiché le associazioni che hanno avuto successo vengono rinforzate, questa condizione potrebbe essere aggiunta al bagaglio necessario alla sopravvivenza.

Così, anche se a tratti ne riuscissi a cogliere la disfunzione, se mi sono abituata da lungo tempo a sentirmi in colpa o inadeguata, per paradosso questo sarà il mio normale funzionamento, essendo quasi una premessa fondante del mio atteggiamento e del mio agire. Il mio cervello emotivo lo darà, infatti, per assodato e scontato; per lui non si tratta di una scelta, ma di un dato oggettivo e che non viene perciò facilmente rilevato, né messo in discussione. Questo significa anche che, nel momento in cui volessi liberarmene stabilmente, troverei una forte resistenza: confliggerei, infatti, con la tenace opposizione della mia componente emotiva e biologica, che mai e poi mai vorrebbe farsi sottrarre un fattore che si è rivelato – nel suo modo di funzionare – importante ai fini della sopravvivenza.

Questa vera e propria inversione, insisto, accade indipendentemente dal reale apporto o vantaggio del comportamento che mettiamo in atto, che alla lunga sarà senz’altro coerente con questa sensazione di fondo. Non possiamo aspettarci, infatti, che il cervello emotivo esprima una critica a questa modalità, perché è concorde con i suoi obiettivi, anche se questa inversione fosse contraria a ciò che la persona stessa ha stabilito come desiderabile per sé. Questo spiega anche i molti fallimenti, sul piano della motivazione cosciente, quando in profondità vige questo potente contrordine. Benché la nostra abitudine di sensazione non ci faccia vivere bene, lasciarla cadere ci potrebbe esporre al trovarci sguarniti e gettati nell’ignoto.

Allo stesso modo, come accennavo, certe condizioni fisiche decisamente non desiderabili come lo stabile aumento della pressione arteriosa, o alcuni disordini digestivi, alcune dipendenze da sostanze e da comportamenti, e così via, potrebbero far parte del corredo di adattamento inizialmente “salvifico” e poi “normale”, cioè installato e non più modificato.

Adattamento e inversione

Da dove parte, questa inversione? L’adattamento più rapido e sconvolgente a cui siamo sottoposti è quello determinato da un trauma, o perlomeno da situazioni che comportano spiazzamento e choc, specialmente se si ripetono nel tempo. Dopo essere sopravvissuti a un evento traumatico di qualunque entità, il nostro funzionamento fisico e psichico, perlomeno per quanto riguarda la regolazione del sistema nervoso autonomo e di tutti gli aspetti ormonali e immunitari che ne conseguono, viene alterato, a volte stabilmente.

Non è necessario che il trauma sia di quelli che oggettivamente mettono a repentaglio la vita. Nella psiche di un bambino, per esempio, anche la paura dell’abbandono, pur se solo immaginata, può produrre i sintomi di un vero e proprio trauma. Fintanto che perdura uno stato di reale dipendenza dalle figure di riferimento, infatti, l’abbandono può essere vissuto sempre come potenzialmente mortifero (nella jungla, in effetti, lo sarebbe). Basta una sgridata nel momento o nel modo sbagliato, a volte, per generare una risposta di freezing e un contrordine a procedere nell’azione che stavamo compiendo. Se non c’è logica o soluzione in quello che mi viene imposto, e sono abbastanza piccola per non avere alternative, tenderò a crearmi una “teoria sul mondo” in cui l’essere inadeguata, sbagliata o in colpa è il modo normale di sopravvivere.

Perciò, il mio consiglio iniziale per trattare questo genere di condizioni è sempre quello di ricercare il possibile momento di innesco di questo adattamento, partendo dalla sensazione di choc-freezing (sconcerto, smarrimento, spiazzamento, estraneità, blocco, paralisi, sorpresa, stupore, sbalordimento eccetera). Non è necessario che il ricordo sia presente nella memoria cosciente; è sufficiente che il corpo risvegli la sua memoria implicita, cioè riporti alla luce le modifiche prodotte dal sistema nervoso autonomo (le sensazioni legate alle emozioni, insomma). Se lo posso immaginare e sentire, per la mia componente emotiva allora è vero. Sembra un assunto un po’ tirato per i capelli, ma il corpo ha una memoria assai più precisa e radicata di quella mentale, e anche più affidabile.

Si lavora, quindi, come di consueto, cercando il possibile inizio dell’atteggiamento “inverso” e si trattano poi le eventuali generalizzazioni rimaste aperte (se torno a quel momento, c’è qualcosa di cui ancora non riesco a capacitarmi, che mi fa sorgere domande o dubbi, o che percepisco come allarmante, anomalo, intrusivo, ingiusto?).
Una volta sbloccata la situazione, occorrerà, nella maggior parte dei casi, provvedere anche al trattamento dello smarrimento o spiazzamento (sempre una risposta di freezing, in ogni caso) all’idea che l’identità o la sicurezza della persona siano messe in crisi dalla possibilità di lasciar decadere quell’abituale sensazione, atteggiamento o comportamento. Infine, non è raro dover trattare lo sconcerto perché questa inversione, prima invisibile, ma di cui erano noti gli effetti, è stata scoperta, ed ancor più perché è stato così rapido liberarsene.

Protetta dalla vergogna

Sonia ha subito un notevole aumento di peso corporeo nel periodo dell’università, che ha svolto lontano da casa. Ci siamo viste per la prima volta alcuni anni fa; in quell’occasione, trovammo nella sua storia un abuso sessuale nella preadolescenza, che inizialmente non ricordava, i cui strascichi sembravano poter essere alla base del suo peso eccessivo. Dopo alcune sessioni in cui le applicai il FastReset®, una volta sciolti gli aspetti del trauma allora accessibili ritrovò la serenità e tornò, nel giro di alcuni mesi, al peso forma, da allora mai più abbandonato. Più di recente, però, mi ricontatta perché si è resa conto che, malgrado il peso ora sia pressoché perfetto, continua ad avere una certa vergogna del suo corpo, che comprende non essere oggettiva. Tutti, infatti, le dicono che è molto carina ma, malgrado questo, lei si sente sempre “orrenda” e/o troppo grassa o troppo magra.

Poiché ricordo bene da dove fosse partito il problema, provo a sondare se non ci sia un contrordine o un’inversione, come amo chiamarla, riguardo alla vergogna stessa. La mia ipotesi, cioè, è che per lei vergognarsi del proprio corpo non sia il vero problema, ma il tentativo di soluzione. Infatti, significa non esporsi allo sguardo altrui e questo, per il suo cervello emotivo, potrebbe essere associato alla salvezza dall’essere (di nuovo) abusata.
Concorda pienamente su questa possibilità, anche se inizialmente la stupisce molto. La tenacia con cui non vuole, in fondo, “mollare” questa vergogna è in effetti peculiare e mi ha instradato sul trattamento da proporle. Salto qui i passaggi riguardanti il trattamento di alcune associazioni relative all’abuso e riporto invece quelli del trattamento di questa sorta di “inversione” della normalità di auto-percezione.

Rivisitiamo brevemente il vecchio trauma, stavolta puntando l’attenzione al legame con la vergogna, e ci troviamo di fronte al senso di smarrimento perché ora sente che la vergogna “serve a proteggermi dall’agguato, dalla violenza, dall’impotenza, dal sopruso e da una esperienza inaccettabile, incredibile, vergognosa e infamante”. Completiamo una sequenza di FastReset® e quello che ne emerge è ora la paura (ovviamente del tutto irrazionale) che, lasciando andare questa vergogna, Sonia si trovi “di nuovo sguarnita, in pericolo e in una situazione per lei ingestibile”. Ci lavoriamo e, subito dopo l’esercizio, la sento esclamare: “Ma è quella persona, che deve vergognarsi, non certo io!”.

Poco dopo, però, risale di nuovo una sensazione di smarrimento all’idea che, anche se lei non c’entra, altri possano pensare che in fondo, non essendosi difesa, ne fosse complice. “Se smettessi di proteggermi, potrei essere esposta al giudizio degli altri! Anche se ho tutte le ragioni del mondo”. Questo nuovo smarrimento “la vuole proteggere dall’angoscia, dall’inversione dei ruoli, dal sopruso, dall’offesa e da una esperienza invivibile, assurda, ingiusta, irrispettosa e sleale”. Segue ovviamente uno shift dell’attenzione. Terminata la sequenza, e composta una frase di rilascio, vedo Sonia più rilassata. “Mi dispiace per me e per lui, e anche di averci messo tanto tempo a capire che cosa fosse realmente successo e tutte le conseguenze sulla mia vita prodotte da quella situazione. Ora sento un po’ di tristezza e amarezza, specie per avere sofferto così tanto e così a lungo, senza nemmeno conoscerne il motivo”.

Trattiamo la tristezza e l’amarezza con frasi standard di integrazione, terminiamo con una frase di rilascio e ciò che ne emerge è: “Io vado a testa alta, mi amo e mi rispetto. Gli altri mi vedano un po’ come vogliono. Quanto a quel vecchio episodio, fa parte di chi sono, o meglio di chi ero. Quello che ti succede è qualcosa che incontri, non è chi sei, anche se ti può cambiare. Mi sembra quasi che, avendo vissuto tutto questo, ed essendo in grado di parlarne con serenità, ora sono ancora più forte e in gamba. Non ho nulla che non va, sono perfetta così”, commenta sorridendo. La vergogna, ora, di certo non le serve più.

[1] L’inversione fisiologica – introduzione; https://www.fastreset.it/articoli/linversione-fisiologica-introduzione/