Quando siamo colpiti da un evento imprevisto, incomprensibile o illogico, che non è stato possibile evitare e che ci ha scosso, il nostro organismo mette in atto la risposta più arcaica, rapida e potente che ha a disposizione per la nostra salvaguardia: la reazione di freezing (congelamento) o, se vogliamo, di choc, sconcerto, spiazzamento o sorpresa.
Potrebbe durare anche un tempo brevissimo, anche meno di un secondo, ma tutto ciò che sentiamo, vediamo, odoriamo, percepiamo in quel momento verrà “fotografato” dal nostro cervello e classificato come altamente allarmante e come potenziale indicatore di future situazioni altrettanto difficoltose, dolorose, inevitabili o ingestibili. Di contro, ogni cosa che facciamo in risposta a tale evento, poiché alla fine saremo (si spera) ancora vivi, sarà considerata una buona strategia istintiva di sopravvivenza in caso di eventi successivi anche solo vagamente simili a quello.
Il primo choc non si scorda mai
Il primo evento spaventoso o scioccante riguardante un ambiente o una certa situazione farà, cioè, da modello e da imprinting alle risposte future in quell’ambito e potrà addirittura tendere a generalizzarsi. È come se il primo choc dicesse: “Ehi, questa cosa spaventosa e imprevista esiste davvero! Ed è anche difficile o impossibile da evitare o da gestire. Cerca di ricordarti tutto quello che è successo prima, durante e dopo, perché ogni singolo dettaglio potrebbe essere importante per metterti in salvo già al primo eventuale segnale di cambiamento verso il peggio”.
Post-choc lieve
Se non si ripresenta mai più un evento simile, le informazioni riguardanti un primo evento scioccante potrebbero rimanere latenti. Soprattutto se sono relative a una reazione contenuta, esse permangono e sono spesso accessibili alla memoria e alla coscienza, ma non sono più di tanto “tenute in vista”. Saranno, cioè, come messe da parte e riesumate solo se e quando ricapiterà qualcosa di anche solo parzialmente simile all’evento iniziale, che sia in grado di modificare lo status quo o la percezione di comfort o sicurezza. Nel frattempo, se la situazione è tornata propizia, si cercherà anche di recuperare il terreno perduto inizialmente, di ricostruire ciò che è stato messo a repentaglio, di recuperare energie, risorse e di imparare dall’esperienza per il futuro.
Post-trauma
Se, invece, lo choc è stato associato a un evento veramente traumatico, la risposta di freezing può continuare indefinitamente – sia a livello cosciente che subconscio – perlomeno finché non si sia recuperata una qualche forma di equilibrio. Anche se, spesso, questo non sarà più paragonabile con quello antecedente al trauma (a meno che non si lavori specificamente per rielaborare il trauma stesso e tornare resilenti).
Ma non si scorda neppure il secondo!
Ma cosa succede, se l’evento si ripresenta in una qualche forma? E perché la seconda volta di solito è peggio della prima? Semplice: la prima volta potrebbe essere stata un caso, un evento anomalo o unico. La seconda, per il nostro sistema biologico, indica invece che quel tipo di eventi è frequente e che dobbiamo aspettarcelo e farvi fronte, o adattarci a convivere con esso. Il secondo choc è come se dicesse: “Fattene una ragione, questo evento sarà più o meno sempre possibile e presente e ti conviene farci l’abitudine, se non puoi evitarlo o debellarlo definitivamente”.
Il secondo choc viene in genere sentito come più forte o significativo o violento perché toglie speranza alla possibilità di evitarlo in tempo, di farci fronte e ci fa sentire ancor più esposti e vulnerabili, predisponendo a reazioni precoci di resa (tristezza e rassegnazione, per esempio). Ma la vera radice del “male” sta nella risposta al primo evento. Ecco perché, anche se la seconda volta è più dura della prima, se vogliamo rilasciare correttamente e in modo rapido le emozioni faremmo meglio ad andare a lavorare sul primo choc.
Venendo all’attualità, il consiglio che posso dare a tutti coloro che si sentono a disagio per le nuove restrizioni o il “secondo lockdown” a cui siamo sottoposti e che conoscono e praticano il FastReset è, dunque, di trattare in prima istanza le sensazioni e gli eventi che hanno procurato una risposta di “freezing” in occasione del primo. Certamente, applicando i criteri che conosciamo per la gestione profonda delle emozioni vissute, ne avremo un beneficio durevole.
Ora vediamo un caso in cui la “seconda volta”, benché molto distante temporalmente dalla prima, è stata risolta lavorando su un’associazione ancora molto attiva che riguardava, appunto, una “prima volta”.
La seconda volta di Laura
Laura ha un problema apparentemente banale, di cui quasi si vergogna, ma è diventato per lei un tormento. Sposata con Carlo da diversi anni, ha avuto una reazione a suo stesso dire spropositata quando quest’ultimo è stato invitato al matrimonio di un’amica d’infanzia e adolescenza, che abita in un’altra regione. La sposa non conosce Laura se non di sfuggita e ha apparentemente avuto l’indelicatezza di non invitarla, probabilmente perché sa che avrebbero difficoltà a lasciare in custodia i bambini altrove, ma nello stesso tempo ci tiene molto a riunire i suoi vecchi amici e compagni della giovinezza in una struttura in campagna, a sue spese. Carlo si è detto pronto a rinunciare ad andare a questa cerimonia, se questo può far stare tranquilla Laura, ma ciò la mette ancor più in conflitto. «Non si tratta di gelosia vera e propria. Non credo che Carlo mi tradirà in quell’occasione, figuriamoci. Mi sono accorta però che, anche se non conosco quasi nessuno di loro e non ho nessuna intenzione di chiedere all’amica di Carlo di invitare anche me, ed organizzare i bambini per due giorni senza nessuno di davvero affidabile a cui lasciarli sarebbe un vero problema, l’essere esclusa da questa cosa, alla quale peraltro non appartengo, mi fa stare male. Non capisco, non mi riconosco. Questa cosa non mi sta facendo bene, e neppure al mio matrimonio, ma sembra più forte di me.»
Conosco già un po’ la storia di Laura e le chiedo – usando il criterio cronologico – se ha memoria di un’altra occasione altrettanto acuta di sofferenza per essere esclusa, la più antica e lontana possibile. Eccola qui: all’asilo, Laura aveva una migliore amica, Paola, con cui giocava sempre e dalla quale era inseparabile. Purtroppo, Paola cominciò ad affezionarsi anche ad una bambina più grande e piuttosto prepotente, Claudia. Un giorno che Laura giocava con Paola sull’altalena, arrivò Claudia e con fare brusco le intimò di andarsene, perché l’altalena era sua e di Paola. Sbigottita, senza fiatare Laura scese dall’altalena e rimase in disparte, addolorata anche perché l’amica non aveva difeso la loro amicizia. Da allora, qualcosa si ruppe nel rapporto con Paola, e Laura vide sempre Claudia con risentimento, e Paola con un senso di tradimento e delusione.
Poiché è uno choc molto lontano, propongo a Laura di usare una frase “di approccio”:
«Ho vissuto: “L’altalena” e il mio corpo mi ha protetto e distaccato da una realtà inaspettata, incredibile, ingestibile, ingiusta, immeritata e inaccettabile». Segue uno shift dell’attenzione e una ripetizione, con un altro shift. Ora la scena dell’altalena è più sfumata e distante. Residua della rabbia contro le altre due, per ragioni diverse: contro Claudia per la prepotenza e l’arroganza e contro Paola per la passività. Prima di passare a trattare quella, però, uso il criterio gerarchico e chiedo a Laura se c’è anche un altro tipo di vissuto in quell’esperienza: un altro aspetto spiazzante, sorprendente o qualcosa che la rende incredula. Certamente: è il “tradimento” di Paola!
Formuliamo quindi la nuova frase: «Lo sconcerto per il tradimento di Paola mi vuole proteggere dall’inganno, dalla perdita dell’amicizia, dal rifiuto, dall’abbandono e da una situazione inaspettata, incomprensibile, dolorosa, su cui non ho potere, ingiusta, ingiustificabile e inaccettabile». Dopo un paio di ripetizioni, seguite ogni volta da uno shift dell’attenzione, siamo pronte a rivalutare la questione. «Anche se so che è una scena lontana, sento ancora il dolore per essere stata esclusa. Non c’è più rabbia, ma dolore e tristezza». Lavoriamo ancora su queste con una frase di integrazione adatta, poi chiedo a Laura di fare il punto. «Ora tutta la scena mi sembra lontana e provo solo tenerezza per tutte e tre, in particolare per me stessa.». La tenerezza “vuole” che portiamo aiuto e conforto a chi vediamo in difficoltà o sofferente; terminato il “giro” di FastReset su questa, sento dire a Laura: «La scena dell’infanzia ora mi fa sorridere, la vedo come una cosa quasi buffa. Adesso direi a Claudia: non se ne parla per niente, aspetta il tuo turno! Ma senza astio, con calma e determinazione, guardandola dritta in faccia.» E in quanto alla vicenda che la tormentava? «Non mi riguarda, fa parte della vita di Carlo, è giusto che si goda questa occasione con i suoi amici d’infanzia, che non riesce a frequentare più di tanto. Sono contenta che ci vada, sarà una bella occasione per lui; voglio che stia bene, e voglio stare bene anche io. Mi sa che quel weekend andrò con i bambini da qualche parte al lago, oppure me ne starò qui tranquilla e me li godrò da sola. Non sento più la paura e l’angoscia dell’esclusione e dell’abbandono, mi sento libera.»