di Laura Morbioli

Medico psicoterapeuta, PhD in Neuroscienze delle dipendenze, operatrice di FastReset®, insegnante di yoga, meditazione e mindfulness.

Molte persone ammettono o sono convinte di avere una dipendenza dai dolciumi. Questa condizione può manifestarsi temporaneamente anche in individui normalmente equilibrati: rianimarsi o consolarsi col cibo, magari dal sapore dolce, e specialmente in periodi di forte stress, è una prassi piuttosto diffusa e socialmente accettata, benché non salutare. In alcuni casi, invece, questa dipendenza può insorgere in persone predisposte a svilupparne anche altre, a causa di una storia personale particolare o traumi passati. Le motivazioni psicologiche, sociologiche e culturali, così come gli effetti medici e le ricadute a tutti i livelli di questo fenomeno, sono complessi e non possono essere riassunti qui. Pertanto, ci si limiterà a riferire alcuni casi specifici, emersi durante alcune sessioni, e trattati con la tecnica FastReset® per l’integrazione e la risoluzione rapida degli stati emotivi condizionanti.
I nomi e alcune delle circostanze saranno volutamente cambiati, ma la narrazione seguirà l’esatto procedimento della tecnica durante le sessioni riportate. I meccanismi alla base di questi casi sono molto simili, senza dubbio interessanti e meritevoli di attenzione e riflessione da parte di tutti noi.
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Questa volta si tratta di una donna di circa trentacinque anni, che ha già fatto diversi percorsi di terapia, ma mi riferisce che un aspetto non è mai stato minimamente scalfito in questi percorsi, nonostante ne abbia parlato con ogni terapeuta: la compulsione verso i dolci di ogni tipo, che si accentua soprattutto nei momenti di maggiore stress e agitazione. Da ragazza ha avuto problemi di anoressia, senza mai sviluppare bulimia. Attualmente normopeso, non presenta condotte restrittive.
Riferisce di essere golosa da sempre: già a scuola, con i soldi per la merenda comprava merendine e caramelle invece della pizza. Quando ha iniziato a lavorare, verso i 14 anni, ricorda che si fermava sia prima che dopo il lavoro a comprare dolci, faticando a fermarsi a 3-4 cornetti al giorno, oltre a caramelle varie e gelati.

Un latte “oscuro”

Questo è per lei il primissimo trattamento di FastReset®. Indago come prima cosa l’allattamento. Alla paziente è stato riferito dalla madre che appena nata lei avrebbe rifiutato di assumere latte per i primi sette giorni. Essendo nata con un peso più che abbondante, per quei primi giorni i medici l’avrebbero lasciata senza alcun tipo di cibo, nemmeno artificiale. Al termine della prima settimana i medici avrebbero dato un ultimatum alla madre: se la figlia si fosse rifiutata ulteriormente di farsi allattare l’avrebbero tenuta in ospedale. Questo sarebbe stato sufficiente per far provare la madre ad allattarla con enfasi maggiore, con esito positivo.

Chiedo alla paziente di tornare al momento del parto, per indagare la situazione precedente al primo tentativo di allattamento. Sente un fastidio generale e un’irritazione tale da iniziare a grattarsi! Ciò che manifesta è uno sgomento all’immagine che le si presenta davanti: vedersi nascere tra le gambe della madre. Dice: “Non ci voglio stare”. Formuliamo così la prima frase di integrazione:
“Lo sgomento e lo shock che provo all’idea di essere qui mi vogliono proteggere da: minaccia, trappola, costrizione, pericolo, tradimento di aspettativa, instabilità, ignoranza, incapacità, impotenza, persecuzione, punizione, ingiustizia, opportunità, e da una realtà inaspettata, imprevista, imprevedibile, dura, faticosa, incontrollabile, su cui non ho potere, caotica, confusa, spaventosa, pericolosa, minacciosa, mortale, inconcepibile, incosciente, irresponsabile, strana e irritante”.

La paziente pratica yoga, quindi le faccio trattenere il respiro durante ogni spostamento dell’attenzione alle mani.

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Si tratta di una precauzione che è utile prendere ogniqualvolta il soggetto svolga attività che possono avere modificato o condizionato la naturale regolazione respiratoria, quali pranayama, immersioni subacquee, suonare strumenti a fiato eccetera. In assenza di una risposta respiratoria spontanea di rilascio al termine dell’esercizio, può essere infatti difficile valutare il risultato dell’esercizio stesso. Trattenere il fiato per il tempo dello spostamento dell’attenzione sulle mani (qualche secondo) aggira il problema.

Dopo questa prima frase percepisce una netta riduzione della pesantezza e una gratitudine nei confronti della madre per averle dato la vita. Dopo alcuni secondi, inizia però a percepire una sorta di trappola in sottofondo, come un filo che la aggancia a qualcosa di pericoloso, scuro e cupo. Percepisce qualcosa nelle tenebre e inizia ad avere dei rigurgiti.

Formuliamo la seconda frase di integrazione: “Il terrore che provo perché non so che cos’è questa presenza e non so se può farmi del male mi vuole proteggere da minaccia, conflitto, violenza, inganno, punizione, e da una situazione inevitabile, inarrestabile, dura, faticosa, caotica, confusa, ignota, sconosciuta, minacciosa, bloccante, vissuta in silenzio, inconoscibile, folle, diabolica e colpevole”.
Dopo lo spostamento dell’attenzione alle mani riferisce di non riuscire a tornare alla stessa situazione, di vederla come molto lontana. Questo è segno di rilascio efficace.
Le chiedo di tornare al momento del parto per verificare se ci siano ulteriori freezing o generalizzazioni (aspetti che le susciterebbero tuttora spiazzamento, sconcerto o turbamento se fosse ancora in quel momento) ma non ne sente, così come nega ulteriori emozioni (ad esempio rabbia o tristezza). Riferisce invece un senso di accettazione: “È così, ormai sto qua”.

Pronunciamo una frase di rilascio: “Lascio andare dal terrore che provo perché non so che cos’è questa presenza e non so se può farmi del male tutto ciò che non mi serve, non mi interessa e non mi appartiene più”. La paziente riferisce di vedere il momento del parto come lontanissimo e totalmente neutro.

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Visto ciò che emerge poi nella storia della paziente, sarei dell’idea che questa “presenza oscura” potrebbe essere qualcosa legata alla dipendenza da sostanze della madre, che spiega anche la sua ambivalenza nei confronti del latte materno, necessario, sì, ma anche non buono né amorevole.

Non essere dipendente

La invito ora a connettersi al primo momento in cui sua madre ha provato ad allattarla. La paziente sente immediatamente un senso di rigetto dalla bocca dello stomaco e una sensazione strana in bocca. Chiede disgustata: “Cos’è? Non è cattivo, ma è come se non volesse andare giù”. Individuiamo qui un conflitto: la paziente sente che dovrebbe accettare il nutrimento perché ne ha bisogno, ma non si fida della bontà del nutrimento che sta ricevendo.
“Lo smarrimento e il congelamento che provo perché sento che vorrei nutrimento ma non mi fido che quello lì mi faccia bene mi vogliono proteggere da: minaccia, conflitto, costrizione, rischio, dipendenza, tradimento di aspettativa, contrarietà, errore, condanna, vergogna, piacere, e da una realtà insopportabile, dura, faticosa, troppo grande per me, bloccante, agghiacciante, diabolica, incoerente, ambigua, infamante, diversa da come la vorrei”.
Dopo lo spostamento dell’attenzione alle mani c’è un profondo rilascio. La paziente riferisce: “La bocca è rilassata, come se io avessi ingoiato… però c’è ancora un nodo allo stomaco, un peso che non vuole scendere. Come lo digerisco?”. Essendoci ancora smarrimento e congelamento, le faccio ripetere la stessa frase una seconda volta. Dopo un nuovo spostamento dell’attenzione alle mani la paziente riferisce di sentire lo stomaco molto più disteso. Guardando le mani, le compare alla mente la parola ‘tradimento’. La invito a indagare che cosa possa essere stato un tradimento durante l’allattamento: “Mamma mi dà il latte pensando di avere qualcosa in cambio. È naturale che io prenda il latte, ma poi divento dipendente… lo vivo come un ricatto”.

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Anche in questo caso, il timore di diventare dipendente potrebbe riferirsi sia al diventare dipendente dalla madre, ma anche al diventare dipendente dalle stesse sostanze da lei assunte.
 

Formuliamo un’ulteriore frase: “Il conflitto che sento perché voglio questo latte, ma se lo prendo sono dipendente e ricattabile mi vuole proteggere da: agguato, trappola, angoscia, costrizione, dipendenza, rovina, tradimento di aspettativa, instabilità, inganno, incapacità, impotenza, persecuzione, rifiuto, solitudine, abbandono, morte, sopruso, umiliazione, colpa, gratificazione, opportunità, e da una situazione inevitabile, dura, caotica, pericolosa, vissuta in silenzio, mortale, illogica, paradossale, irreale, diabolica, ingiusta, crudele, amorale, innaturale e che mi sta sullo stomaco”.

Dopo lo spostamento dell’attenzione alle mani la paziente sbadiglia e si sente più tranquilla. La sensazione fisica di fastidio si riduce e scende più in basso nel ventre rispetto allo stomaco. Riferisce inoltre che durante la ripetizione della frase di integrazione le si è addormentato il braccio sinistro. Questo le fa tornare in mente che sua madre le ha detto che è nata con un gomito flesso e la mano sinistra alla gola. Avrebbe trascorso così l’ultima fase di gestazione. I medici avevano detto alla madre che la bambina sarebbe stata quasi sicuramente muta a causa della compressione delle corde vocali. In un altro trattamento sarebbe possibile indagare anche questi aspetti, su come abbia percepito dall’utero il verosimile shock della madre dopo aver ricevuto una tale notizia. Rimaniamo però sul tema del trattamento: la questione legata al cibo.

Tornando all’allattamento, si vede piccolina, sa che è normale essere allattata ma sente che così com’è stato non è giusto. Ripetiamo la stessa frase di integrazione, dopo la quale sente borborigmi e movimenti energetici in pancia. Compare la rabbia per il fatto che questo nutrimento non fosse sano. Mi informa che sua madre aveva fatto uso di sostanze sia prima che durante la gravidanza. Con questa ulteriore informazione, è possibile rivedere il prurito sentito all’inizio come un possibile sintomo da astinenza oppioide. Anche l’inappetenza della prima settimana potrebbe essere stata astinenziale.

Vista la persistenza di acidità allo stomaco e l’informazione di un nutrimento non sano anche in gravidanza (dovuto alle sostanze che passavano la placenta e arrivavano a lei, il che forse spiega anche perché quel latte non fosse così facile da mandare giù), la invito a portarsi a un momento ancora precedente: quello del concepimento.

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Chi conosce la tecnica sa che partiamo dal presupposto che non è importante che le sensazioni su cui lavoriamo siano relative a qualcosa di realmente accaduto: per noi è sufficiente che, se il corpo si “sveglia” e produce sintomi, emozioni o sensazioni, per il corpo stesso tutto ciò è reale e ha, pertanto, delle conseguenze. Lasciamo la spiegazione del fenomeno al sistema di credenze filosofiche, religiose e culturali di ciascuno. Comunque, molte volte abbiamo constatato che, pur in assenza di dati sugli eventi accaduti, le verifiche successive presso le persone che erano presenti all’epoca hanno condotto ad ammettere che il corpo ha una precisa memoria di tutti gli adattamenti compiuti, specialmente di quelli relativi alle prime fasi della vita.
. Lì percepisce subito una forte carica sessuale associata a una sensazione viscida, che connette a suo padre. Compare un intenso dolore al basso ventre. Connettendosi alla madre sente un intento puro e sacro di concepimento, mentre dal padre arriva uno sfondo animalesco e volgare.
Componiamo la successiva frase di integrazione: “Il terrore e lo sgomento che provo perché mia madre si sta unendo a questo tizio arrapato e io non vorrei nascere da questi due pazzi mi vogliono proteggere da: errore, condanna, dolore, morte, colpa, desiderio, e da una realtà imprevista, ingestibile, su cui non ho potere, paralizzante, vissuta in silenzio, paradossale, ambigua, infamante e volgare”. Nella fase di spostamento dell’attenzione scompare totalmente l’acidità e si manifesta un senso di grande leggerezza. La paziente dice a se stessa: “Tu non devi fare per forza qualcosa che non vuoi!”. Se lo dice pensando anche al cambio di lavoro che la aspetterà dopo aver perso il precedente da poche settimane. Compare un senso di liberazione: “Vengo da quella storia lì, ma ora anche basta!”. Sente di poter proseguire nella sua vita facendo scelte più libere e più giuste per sé.

Decidiamo di fare una frase di rilascio: “Lascio andare dal terrore e dallo sgomento che provo perché non vorrei nascere da questi due pazzi tutto ciò che non mi serve, non mi interessa e non mi appartiene più”. Aumenta ulteriormente il senso di leggerezza, la paziente dice che “è come se si fosse tolto un tappo dalla pancia”. Si è sentita talmente bene a ripetere la frase di rilascio che chiede di ripeterla una seconda volta. Dopo un suo grande sbadiglio, le chiedo di connettersi all’idea dei dolci. Dice sorridendo: “Belli, buoni, ma non mi servono! Mi sento pienamente radicata nel corpo dopo questo trattamento, sento che non ho bisogno di mettere nulla nel mio corpo per riuscire a stare”.

Alcune settimane dopo il trattamento la paziente ha riferito che i dolci avevano cambiato sapore da subito, diventando meno gratificanti e, di conseguenza, “meno interessanti”. Il rapporto col cibo è diventato più facilmente gestibile. Le intuizioni avute durante la pratica, inoltre, le hanno dato materiale su cui riflettere per continuare il percorso terapeutico personale in corso.